Il 12 ottobre una giornata in ricordo dell’imprenditore lametino per aprire uno squarcio sulla stagione dei sequestri di persona nel lametino e in Calabria

Lamezia Terme. Erano le 18 circa del 12 ottobre 1983 quando veniva rapito l’imprenditore florovivaista di origine sicula Giuseppe Bertolami, cinquantotto anni, mentre usciva dalla sua azienda a bordo di una fiat 132 imboccando la statale 18. Le trattative con i rapitori iniziarono quasi subito, ma si interruppero dopo poche settimane. Di Bertolami non si ebbe mai più notizia. Numerosi furono nel tempo gli appelli della famiglia, rimasti inascoltati: nessuno ha mai restituito loro la verità su quanto accaduto né il corpo dell’imprenditore.

Il caso Bertolami non fu un episodio isolato, si inserisce bensì in un periodo nero della cronaca locale del lametino: la stagione dei sequestri di persona a scopo estorsivo con i rapimenti eccellenti della Lamezia bene, tra cui Mario Bilotti, Roberto Bertucci, i coniugi Gabriele D’Ippolito e Filomena Ciliberto, Nino Tripodi, Francesco Grandinetti, Filippo Caputi, ma anche di altre personalità del resto d’Italia.

Come ricostruito all’epoca dal cronista Ugo Caravia: “La stagione dei rapimenti di persona nel lametino si svolse in due fasi: la prima ebbe inizio nel 1970 con il sequestro dell’ingegnere Bilotti. (…) La seconda, invece, si svolse nella prima metà degli anni ’80.  In questa fase avvenne il rapimento del floro-vivaista Bertolami, che non si concluse con il suo ritorno e che non se ne parlò più. La città fu il teatro di un altro rapimento, sempre nei primi anni ’80, che vide prigioniero per sei mesi il figlio di un industriale di Tivoli”.

Non solo Lamezia naturalmente, ma tutta la regione, soprattutto l’Aspromonte, a partire dagli anni 70 si fece custode dei rapiti, e la ‘ndrangheta divenne una delle maggiori fautrici dei sequestri.

Novantadue furono i sequestri compiuti in Calabria, sui cinquecentosessantuno verificatisi in Italia tra il 1968 e l’83, e ben 191 attribuibili a organizzazioni delle cosche, la cosiddetta “Anonima calabrese”. In Aspromonte finì perfino Paul Getty III, nipote del celebre magnate americano.

Nella maggior parte dei casi, i sequestri si risolsero con la riscossione del riscatto, a volte persino nel giro di qualche ora. Bertolami resta il solo nel lametino a non essere ritornato a casa.

Un episodio simile coinvolse molti anni più tardi il fotografo Lollò Cartisano. Era il 22 luglio del 1993 quando venne prelevato da Bovalino. Nonostante il pagamento del riscatto, duecento milioni di lire non ritenute sufficienti, Lollò non sarebbe mai stato liberato. Il suo fu l’ultimo dei terribili sequestri di ‘ndrangheta, l’ultimo dei diciotto che l’organizzazione mafiosa abbia compiuto solo a Bovalino. I suoi resti furono ritrovati ai piedi di Pietra Cappa, solo dieci anni dopo, nel 2003, in seguito a una lettera anonima di pentimento, probabilmente sollecitata dalla significativa mobilitazione della famiglia e in particolare della figlia Deborah autrice di innumerevoli appelli e anima del movimento giovanile “Bovalino Libera”. Il suo sequestro anomalo è ancora oggi avvolto nel mistero. Proprio come quello dell’imprenditore lametino di cui però non si sa ancora nulla.

In occasione del quarantesimo anniversario della sua scomparsa la Fondazione Trame, in accordo con i familiari e con la collaborazione dell’ALA, ha promosso per il 12 ottobre 2023 una giornata in ricordo di quanto accaduto con due appuntamenti: il primo alle 11 con la deposizione di un mazzo di fiori sul luogo del rapimento, il secondo nel pomeriggio, alle ore 17.30, presso la sala multimediale del Chiostro del San Domenico con un incontro di riflessione sulla lunga stagione dei sequestri a Lamezia Terme iniziata negli anni ’70 e conclusasi tragicamente con il sequestro di Giuseppe Bertolami in cui porterà la sua testimonianza il figlio Carmelo, alcuni dei giornalisti che all’epoca seguirono il caso sulle testate nazionali, i rappresentanti delle istituzioni e associazioni presenti all’incontro.

Per Giuseppe Bertolami e per questo terribile capitolo della storia calabrese, spesso dimenticato, la forza della memoria rimane oggi l’unica speranza: il ricordo è patrimonio comune della collettività, valore e tappa imprescindibile dell’affermazione della legalità e di opposizione alla sopraffazione mafiosa, per evitare che le vittime della violenza criminale cadano nell’oblio e per continuare a chiedere per loro giustizia e verità.

Il tragico caso Bertolami, e ogni altro episodio di ingiustizia e violenza ai danni di un innocente, costituiscono un fardello per tutta la comunità, che non può né accettare né dimenticare il destino che qualcuno ha scelto per molti, troppi, in questa terra.

L’evento si inserisce nella rassegna Civic Up, un progetto sostenuto con i Fondi Otto per mille della Chiesa Valdese.